La ricetta per Educare

a cura della dott.ssa Barbara Pasini, psicologa psicoterapeuta

Titolo arduo da sviluppare, in quanto richiede di avere delle risposte e delle soluzioni immediate, ma questo, ve lo svelo fin da subito, è impossibile.

Siamo di fronte a ciò che Freud, ha definito, già nel novecento, uno dei tre mestieri impossibili: Educare; gli altri sono il governare ed il curare.

Educare non vuol dire far passare dei dati o delle informazioni in modo automatico dall’adulto al bambino. La parola Educare, etimologicamente deriva dal latino e significa: E-fuori, DUCO-condurre, condurre fuori.

L’educazione non è l’insegnamento che forgia, l’educazione trae fuori dalla persona ciò che ha da sviluppare di autentico, di proprio. L’insegnante deve trovare lo spunto perché l’insegnamento sia un’invenzione, una creazione dell’allievo stesso.

In altri termini, l’educazione non proviene dall’Altro, ma ognuno si insegna da solo attraverso gli stimoli che provengono dall’Altro.

Tuttavia se siamo qua è per non mollare, per non indietreggiare di fronte a questo impossibile. E’ difficile, anche perché “non c’è nessuna teoria che ci possa aiutare”, cioè è meglio precisare, non c’è saper che ci possa aiutare come ricetta da applicare al problema. Il sapere non aiuta perché il bambino, il figlio di ognuno di voi, unico e speciale, non ha un manuale di istruzioni.

Il bambino rappresentato nei libri è un bambino che non esiste.

E’ proprio per questa ragione che se prendo la risposta da un libro e la applico su mio figlio, posso fare “acqua” nel mio intervento, perché il libro non sta parlando di mio figlio, ma di un bambino astratto, che non c’è.

Non è con questo che voglio dire che lo studio non serve, serve anche quello, serve a comprendere che il bambino ha delle potenzialità e delle particolarità, cioè è il prodotto di ciò che gli adulti hanno preparato per lui, porta con sé la storia di tutta la famiglia, con tutto ciò che ci piace e non ci piace; serve a comprendere che per educare un bambino bisogna ascoltarlo, scoprirlo, abbracciare e raccogliere tutto ciò che ci porta, che sia un qualcosa di fisico o un’emozione; serve a comprendere che dobbiamo guardare i nostri bimbi con gli occhi della meraviglia, con lo stupore e la curiosità che li stimolano ad andare avanti a spiegarci meglio e ad aprire sempre di più le porte del loro fantastico mondo.

Per questa ragione, si può affermare che non abbiamo di fronte un bambino astratto, ma reale ed unico, quello che ciascuno di voi incontra ogni giorno e che conosce, su cui avete, come genitori, un sapere prezioso, un sapere unico nel suo genere, che vi permetterà di prendere gli stimoli i questo articolo e farli vostri, adattarli alla vostra famiglia, giocandoci, trasformando le idee.

Ecco, dunque, che questo articolo sfida “l’impossibile” e cerca di < educare > chi lo legge, ma non suggerendo una soluzione o dando delle istruzioni, lo fa stimolando un pensiero e delle riflessioni, che hanno l’obiettivo di far emergere in voi qualche cosa di bello, di vostro, di interessante.

La famiglia, deve andare incontro a questo tipo di esigenza intima, il bisogno di potersi esprimere, pensare, sperimentarsi, costruire piano piano, per prove e fallimenti, il proprio bagaglio di conoscenze. La società tutta, dovrebbe dare un posto a ogni soggetto, affinché egli possa essere riconosciuto nella sua particolarità, unicità e singolarità.

Per l’essere umano è fondamentale sentirsi riconosciuto, piuttosto che amato.

Nell’amore, c’è sempre un ritorno narcisistico di colui che ama, nel riconoscimento questo è assente . Nell’amore si ama l’altra persona nella misura in cui ella si identifica con quello che ci si attende da lei. Basta che questa persona si discosti un po’ da quell’identificazione e subito l’identificazione viene a meno, arrivando anche al rifiuto.

Nell’atto del riconoscimento, si accoglie la persona cosi come è, non ci si attende nessuna risposta che sia conforme con i desideri altrui. Per gli adolescenti e per i bambini questo riconoscimento è fondamentale più che sentirsi dire di essere amati, loro lo dicono e ce lo svelano chiaramente, soprattutto quando parlano della famiglia: “mio padre e mia madre dicono di amarmi, ma quando non sono conforme a quello che si aspettano da me, mi colpevolizzano” .

Questo per i genitori è un punto difficile, saper accettare che i figli non necessariamente rispondano alle loro richieste, soprattutto per il fatto che i genitori e gli adulti più in generale, considerano che le loro richieste siano fatte ai figli pensando al loro bene…

ma siamo sicuri che è quello che vuole il proprio figlio?